Danila Leonori

Nome della scuola: 
Ite "A. Gentili"
Città: 
Macerata
Regione: 
Marche
Disciplina/e Insegnata: 
Informatica
Descrivere la propria storia di educatore, di impegno, innovazione e determinazione legata al proprio contesto scolastico: : 
A settembre 2016 ho deciso di fondare il Coderdojo Tolentino. Poco dopo, il terribile terremoto del centro Italia di ottobre ha sconquassato la vita di molte persone. Tolentino si trova nel cratere sismico. Il Coderdojo, appena nato, non si è bloccato e non si è arreso, ma ha messo su un bellissimo progetto di solidarietà (arrivato finalista all'edizione 2017 del GJC) che si è chiamata Cuoredojo, un evento di solidarietà per aiutare i bambini scioccati dagli eventi sismici, ma che è stato importante per diffondere i principi del coding, pensiero creativo e computazionale in maniera capillare. È stato quello il momento in cui ho capito quanto sia importante anche socialmente educare ed innovare. Da quel momento il mio cammino verso l'innovazione non si è più fermato. Ho studiato (ho conseguito un master come innovatore digitale nella scuola presso l'Università di Padova) ed applicato con i miei ragazzi tutto ciò che era possibile fare per rendere la didattica innovativa e coinvolgente. Service Learning, dibattiti, lavori creativi (video, podcast, cartoni animati) per spiegare argomenti molto complessi sono, nelle mie classi, all'ordine del giorno. La cosa che lascia sconcertati, però, è la reticenza degli studenti di fronte a metodologie didattiche di questo tipo. Restano impietriti quando si propone loro un lavoro del genere; e questo accade perché dall'età di 6 anni sono dietro a un banco a sentire qualcuno che parla e cambiare metodologia (uscendo dalla zona di confort) è sempre spaventoso. Ed è proprio questo che mi spinge ogni giorno ad innovare e a tentare nuove strade, per far ri-emergere quella creatività sopita che si trova nelle menti dei nostri ragazzi e che non pensano di poter più usare. Credo molto nelle STEAM e nella loro applicazione e nel loro potere educativo. Lavoro ogni giorno cercando di coinvolgere i colleghi in questo modo. Quando il lavoro è davvero strutturato e tutti ci credono, i risultati lasciano, a dir poco, a bocca aperta. Non esiste un ragazzo "non portato" per lo studio, basta solo rovesciare il nostro punto di vista: non fondare la didattica su noi docenti ma sui nostri studenti. Solo così tutti potranno farcela.
Descrizione di come è stata affrontata l’emergenza da COVID-19 con i propri studenti:: 
Fin da subito, ho adottato tecniche di lavoro per stare il più possibile vicina ai miei studenti e ho considerato la locuzione "didattica a distanza" come un ossimoro. Quello che mi sono chiesta è stato: ma cosa succede se togliamo il banco agli studenti? La risposta è stata dura da accettare. Togliamo loro l'uguaglianza: sostituendo il banco con webcam e PC abbiamo sottolineato ancora di più i divari sociali che ci sono tra gli studenti. E allora che fare? Beh, si guarda la situazione con uno sguardo profondo per raccogliere una realtà che a scuola è meno visibile. Partendo proprio dalle differenze ho cercato di accelerare su un processo di innovazione e reazione. Senza lasciare indietro nessuno. Sì, ma come fare se non tutti hanno gli stessi strumenti? Bene! Dando lavori coinvolgenti, rispettando i tempi di ciascuno, innescando situazioni di reciproca fiducia. Non si valuta la conoscenza in quanto tale ma il percorso dei ragazzi dall'idea al progetto realizzato. Progetto che segue le loro inclinazioni che li stimola e accende la loro curiosità. L'emergenza Covid-19 ha aperto un punto di vista importante, la visione ecosistemica della didattica: se la didattica in presenza è rappresentata da quello che emerge (il tronco e le foglie) che sembra essere la realtà, basta scavare un po' e la didattica a distanza mette in luce quello che è il sottosuolo dove vivono le radici e dove si tessono una fitta rete di relazioni e legami, gli studenti, come le piante, creano il loro ambiente, si adattano ai cambiamenti meglio di quanto pensiamo. In questa scelta “evolutiva” -le piante hanno scelto di restare immobili, senza spostarsi e come ci ha dimostrato il lockdown questa è stata la scelta giusta. Noi docenti, stando fermi abbiamo avuto l'opportunità (anche se non tutti l'hanno colta) di esplorare l’ambiente didattico che non è necessariamente un luogo fisico e abbiamo avuto anche modo di osservarlo nei minimi dettagli e di capire cosa era giusto e cosa era sbagliato per ripensarlo, riprogettarlo e perfezionarlo. Considerare il ragazzo, le sue attitudini e il suo background è stata la carta vincente per non lasciare indietro nessuno, per accompagnarli verso un percorso fatto di competenze e umanità, prima ancora che di conoscenza e per aiutarli verso il difficile cammino che è quello di chi si affaccia all’età adulta. Tutto questo è spiegato nel mio Ted X https://www.youtube.com/watch?v=_P7KIwLw06M
Descrivi la tua visione di educazione per il futuro: 
Prima di dire qual è la visione di educazione, vorrei specificare cosa significa essere insegnanti: Essere insegnanti è la messa a disposizione, l’accoglienza verso l’altro, è guidare i ragazzi al raggiungimento dell’obiettivo. Il nostro ruolo non è quello di trasmettere conoscenza, ma dare agli studenti gli strumenti per costruirla, idea dopo idea, camminando al loro fianco e considerando che ogni ragazzo è diverso dall’altro, a prescindere dall’ambiente in cui si trova, come singolo o come gruppo classe La scuola oggi sta cambiando, ma il cammino è ancora lungo. Le parole chiave da usare in questo momento sono "costruzione", "collaborazione" e "condivisione": costruire conoscenza, collaborare al miglioramento della didattica e condividere di esperienze, buone pratiche e competenze. È importante abbandonare la logica dei manuali, adottando invece un approccio multimediale e transdisciplinare: si lavora tutti insieme per il bene degli studenti, senza spezzettare argomenti che sono un tutt'uno. Dobbiamo smettere di pensare la didattica come suddivisione di materie, ore e classi. Dobbiamo reimmaginare la didattica tenendo conto di tutte le situazioni che abbiamo in classe, dobbiamo ripensarla come percorso e non come un fine. Dobbiamo imparare a progettare percorsi inclusivi, collettivi e personalizzati, sia per ogni alunno che per il gruppo classe. Questo cambiamento sarà completamente riuscito quando una progettazione del genere sarà la normalità. L’istruzione deve uscire dall’aula -lo stiamo facendo, ad esempio, col Service Learning- e calarsi nel contesto in cui la scuola stessa vive, nella società, nella città, nei territori, nell’ambiente, i cui soggetti (persone, aziende, ma anche, perché no, robot e intelligenze artificiali) devono diventare partner dell’istruzione per dare vita a un'istruzione differente, completa ed efficace; per mettere a punto metodologie differenti e per apprendere un approccio diverso fatto di competenze, sentimenti e sogni. Affinché ciò avvenga deve esserci fiducia negli studenti e nel loro senso di responsabilità. Non possiamo continuare a classificarli con e come un numero. Iniziamo a mettere da parte i voti e cominciamo a considerare l'umanità che c'è dietro ad ogni paio di occhi. Gli studenti sono persone, sogni e capacità e la scuola ha il delicato ruolo di nutrire questi sogni (e non di distruggerli o standardizzarli), per far sì che i nostri giovani siano poi, appunto, il motore del cambiamento di cui tanto abbiamo bisogno.